martedì 10 giugno 2014

Tutti per uno (A Hard Day's Night, Richard Lester, 1964)

C'è tutta un'estetica in A Hard Day's Night, l'estetica pop dei primi anni Sessanta. C'è l'ultimo bianco e nero del Novecento, prima che diventi make-up. C'è il modernariato d'una tecnologia elettronica che, di lì a poco, avrebbe cambiato il mondo. C'è il vertice più alto della musica d'intrattenimento giovanile; grandissimo artigianato, che sarebbe diventato in un anno e mezzo, con la pubblicazione di Revolver prima, e Sgt. Pepper's Lonely Heart Club Band poi, vera e propria Arte del suono. E c'è un'ingenuità di fondo, che sarebbe presto scomparsa per sempre dalla cultura popolare; un'ingenuità cui l'assassinio di JFK, nel '63, aveva già inferto un colpo mortale. 

È, dunque, con grande nostalgia che si (ri)vede il film di Richard (Dick) Lester; un film che risulta - anche dopo 50 anni - ancora fresco, veloce, scintillante, nonostante sia distante anni luce dalla koinè di MTV. I dialoghi surreali e intelligenti sono da antologia di letteratura inglese. Le trovate nella mise-en-scène a tratti geniali. I riferimenti alla storia del cinema pre-1964 si sprecano: dalla nouvelle vague ai fratelli Marx, dallo slapstick alla commedia americana, fino al cinéma vérité

La settima arte, l'esperienza della visione, si fondono perfettamente col pop beatlesiano, e anzi ne costituiscono probabilmente le ragioni del successo planetario e senza tempo. Senza il cinema, e soprattutto la TV (opportunamente "omaggiata" nel film, con più d'una allusione all'Ed Sullivan Show), il fenomeno Beatles non sarebbe mai esistito. Ma quella TV non era la TV di oggi, era la TV delle "cerimonie del vero". E A Hard Day's Night, in fondo, non fa altro che raccontare la realtà di ciò che accadeva in quegli anni nei (e attorno ai) Beatles, omettendo, certo, gli eccessi della band, che l'iconografia ufficiale voleva invece perfettamente integrata, ed espressione dell'ideologia d'una giovane classe media in ascesa; e, allo stesso tempo, edulcorando paradossalmente certi aspetti estremi della Beatlemania. Ma se il rock è autenticità, e il pop iperrealismo, qui si raggiunge una perfetta, sublime via di mezzo. Da una parte, infatti, il sudore sui volti di John e Paul è incontrollabile, dall'altra il film possiede i meccanismi perfetti d'un orologio svizzero. 

E poi c'è la musica, che "sparata" negli altoparlanti delle moderne sale di proiezione 3D continua a stupire e deliziare le orecchie, senza conoscere cedimento alcuno, come se fosse stata registrata oggi. E quando, nello show finale, esplodono le armonizzazioni vocali di She loves you, non puoi non battere i piedi, respirare lo Zeitgeist del 1964, e chiederti che cosa sia successo oggi alla popular music, di quale malattia soffra, come mai certe canzoni scadano, come le mozzarelle, dopo tre giorni, come mai tutta la tecnologia di oggi riesca solo ad animare, per una breve stagione, degli zombie musicali.

Un film da non perdere (neanche i titoli di coda, che sono un'opera d'arte in sé). Un film che fa bene al cuore e alla mente. Ricostituente. (5/5)

Il trailer

Per approfondire: S. Arcagni, P. Gep Cucco, G. Michelone, Il cinema dei Beatles, Falsopiano, Alessandria, 1998.

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