lunedì 5 settembre 2016

Home (F. Troch, 2016)

Una scritta, all'inizio del film, ci avverte che la storia che stiamo per vedere è ispirata a fatti realmente accaduti; il che non fa presagire nulla di buono... 

Home, del belga Fien Troch, presentato a Venezia 2016 (io l'ho visto qui), è il ritratto di una generazione apparentemente perduta, quella dei cosiddetti "millenials"; una generazione che, come sostiene Massimo Recalcati (ad esempio, qui), non conosce più il desiderio, lo scarto tra volere e avere. 

Gli adolescenti di Home vivono in un presente (im)mediato. Immediato nel senso di istantaneo, veloce; ma anche nell'accezione di "senza mediazione" (da parte degli adulti, ad esempio). Un'immediatezza che spesso si risolve nell'incapacità di stabilire un perimetro di valori, nella saturazione della distanza tra scena e retroscena sociale (che diventa o/scenità), nell'afasia emotiva (che, a volte, è addirittura mutismo).

Uno dei temi centrali del film è proprio quello dell'incomunicabilità, che qui è sia orizzontale (tra pari) sia verticale (tra genitori e figli). Quest'ultima è ben descritta dalla sequenza in cui Kevin, uno dei ragazzi protagonisti della storia, riceve in regalo un televisore dai genitori della famiglia che lo ospita provvisoriamente, dopo aver avuto un'esperienza in carcere. Egli, tuttavia, non sa che farsene, preferendo scambiare messaggi con gli amici attraverso lo smartphone. Vecchi e nuovi media, messi a confronto, ci fanno intravedere in controluce la trama a maglia larga delle interazioni sociali contemporanee, che non si fanno quasi mai "incontro". 

La casa (home) del titolo è tutt'altro che un rifugio confortevole, né pare essere un riferimento civile o identitario (la homeland), in quanto incapace di produrre senso. Diventa, piuttosto, la gabbia di uno zoo, in cui si muovono animali miopi, anestetizzati, esausti e senza più voglia. La cui unica via di fuga sono le dipendenze, le nevrosi, o un'improvvisa, behavioristica scarica di adrenalina. L'abisso è, così, ineluttabile, ma senza neanche il senso del tragico.

Il film è girato in 4:3 (il formato televisivo), suggerendo un'estetica da documentario. La fotografia non presenta soluzioni innovative o ricercate, alludendo al cinéma vérité. Il quotidiano è quello della TV contemporanea, in cui tutto scorre, senza che si riesca a sottolinearne un passaggio, o ad afferrare un pezzo di anima. La regia è in background, ma è un merito. Bravi gli attori. Voto: 3/5. Opprimente.

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