sabato 10 settembre 2016

Maudite Poutine (K. Lemieux, 2016)

Breve storia triste di Vincent, operaio e batterista metal, che ruba una partita d'erba assieme ai suoi amici, ma se la deve vedere presto coi "legittimi" proprietari, in affari col fratello.

Maudite Poutine, di Karl Lemieux, presentato a Venezia 2016, è un film indecidibile come un teorema di Kurt Gödel. Indeciso tra rumore industriale e musica, un po' come il trash metal (bella la sequenza di Vincent che prova ad ascoltare Sibelius, ma non trattiene il bisogno di fare rumore con un blister da imballaggio). Indeciso tra lirismo e realtà (inopportuni alcuni afflati poetici; resta a metà l'amicizia di Vincent con la giovane chitarrista). Indecidibile come le relazioni umane, e il precario confine tra amico e nemico.

Pur essendo molto ben fotografato in un bianco e nero d'essai, e ben girato dal punto di vista tecnico, il film si basa su una proposta narrativa lacunosa, incoerente e inspiegabile, denunciata da un finale dilatato, sfilacciato e insostenibile. Ambisce (probabilmente) ad essere uno studio sulla dialettica della violenza, ma manca - tra le altre cose - di lucidità sociologica (Pasolini docet); peraltro, quando di tratta di fare i conti con la sua rappresentazione, rimane sospeso tra il troppo (l'ultra violenza) e l'ellissi. Irrisolto.

Il canadese Lemieux ci garantisce un'esperienza della visione per nulla banale. Tuttavia, la forma non è il contenuto. Attori comme ci, comme çaIn dubio pro reo: voto 3/5.

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