lunedì 21 novembre 2016

Love (G. Noé, 2015)

La sequenza iniziale di Love (Gaspar Noé, 2015) è l'origine di tutto: è l'incipit del racconto, un peccato "originale", l'"origine" della vita e del mondo forse. Un prologo che non si dimentica facilmente, e fa presagire un certo genere di film, anche se neanche un porno ha mai osato cominciare in modo così esplicito e brutale (e, allo stesso tempo, sublime). Ma c'è qualcosa che già ci interroga: quello mostrato sullo schermo non è un rapporto completo, e i due amanti sembrano, in qualche modo, divisi, separati.

Imprigionato tra due sequenze di vita familiare, e narrato con un tempo caotico e spezzato, il film tratta della passione nata, vissuta e poi finita tra Murphy (Karl Glusman), regista in erba, e l'inquieta Electra (Aomi Muyock), un'artista fuori sede, a Parigi. L'idea d'incastrare il cuore pulsante della vicenda tra due parentesi di scialba vita familiare riesce a rendere bene il senso di claustrofobia e di desolazione che contrassegna la vita attuale di Murphy. E, difatti, la voce narrante del protagonista ci introduce immediatamente in un'atmosfera da incubo. È il metaforico primo gennaio di una transizione verso l'età adulta. Murphy si sente in gabbia, è ferito dalla telefonata che ha appena ricevuto, e prova a fuggire verso l'unica cosa che gli è rimasta libera, dopo l'invasione del suo privato; un privato che è ridotto a un paio di mensole con delle videocassette e i dvd preferiti. È rimasto il pensiero, i ricordi, i suoi segreti; segreti che fortificano nella coppia, ma incupiscono nella solitudine. Il film non è altro che il resoconto di questa fuga concitata e impossibile, ma allo stesso tempo necessaria, in una memoria a geometrie variabili.

Il finale è tremendo e angosciante. La scena della moglie che apre la porta del bagno, in cui Murphy sta facendo la doccia, è peggio dell'accetta di Jack Torrance che cerca Wendy, in Shining di Stanley Kubrick. Una sorta di copia in negativo di quella folle sequenza. L'atmosfera complessiva mi ha anche ricordato il finale desolato di The Devil in Miss Jones, di Gerard Damiano, che non credo sia estraneo alla bibliografia della pellicola (vedi le figure sotto). Con quest'ultimo film Love ha in comune il tema del desiderio e del suo impossibile compimento, la cui natura ambivalente mi pare sia al centro del discorso di Noé.



Tale discorso, tuttavia, è a volte troppo esplicito, letterario, e finisce con l'appesantire la visione. Si può dire che, se il tema qui è il desiderio, dall'altro lato quest'ultimo è concretamente obliquo rispetto alla messa in scena. Riuscita, d'altra parte, è invece la vertiginosa duplicazione dei piani, dei livelli del discorso, la ricercata simmetria frattale (cfr. la Fig. 1). Una ramificata mitosi cellulare che s'incista nella difficile rappresentazione delle relazioni tra i protagonisti, sostenuta da un affaticante montaggio alternato, che allude a numerosi dilemmi. 


Fig. 1 - Simmetrie

Una prima opposizione è quella tra io e me sociale, subito istituita nelle prime battute del film, facendo da sfondo a tutto il resto. Una seconda opposizione è quella, probabilmente intrinseca in ogni relazione amorosa, già messa in evidenza nel classico Odi et amo del Liber catulliano. Poi, ancora, vi è la dialettica del desiderio, che è sempre innescata da una mancanza, da un'assenza, come vuole la sua complessa algebra polinomiale. Non a caso, in un passaggio del film, il desiderio riaffiora, quando i due protagonisti cominciano a fare la lista delle cose che mancano. Altra opposizione, che fa da corollario alla precedente, è quella tra eros ed intimità (cfr. Esther Perel, L'intelligenza erotica, Milano, 2007), dalla quale deriva la controversa proliferazione di svariate rappresentazioni del sesso, che alcuni hanno bollato come pornografiche. Quando il sesso viene rappresentato al cinema, la grande discriminante tra eros e pornografia - a mio parere - è questa: tale rappresentazione è al servizio del racconto, di un'idea? Ecco, in questo lavoro di Noé le due cose non sono sempre ben collegate, e quindi il porno sembra voler occupare alcuni vuoti. Tuttavia, non parlerei di porno tout court, e paradossalmente manca "qualcosa di più spinto" per poter parlare d'erotismo. Infine, potremmo ancora individuare un'opposizione tutta interna al personaggio di Elettra, che sembra possedere sia i caratteri della variante di Sofocle sia quelli Euripidei (cfr. la Fig. 2).

Fig. 2 - Quante Electra?

Tutte le opposizioni prese in esame, o comunque evocate dal film, sembrano insanabili. E infatti lo sono ontologicamente, direi. La più grande di tutte è quella tra amore e morte. Da una parte l'amore è il senso della vita (lo afferma Murphy un paio di volte), la cui rabbiosa ricerca è costante nel film come nella vita ("Is there anybody out there?", suonano i Pink Floyd nella colonna sonora); ma esso è provvisorio - questa la tesi di Noé ("Per sempre è troppo tempo", dice Electra a Murphy). Quanto alla morte, che aleggia, ma non è mai esplicitata, il problema è cosa vi sia dopo. La risposta che si danno i protagonisti è, in ultima analisi, la nascita di un figlio (ecco il legame forte col sesso, con la fecondità. "Lacrime, sperma e sangue sono gli elementi fondamentali" di ogni storia, dice Murphy, in un passaggio cruciale del film). Ma, per uno scherzo del destino, Murphy ha un figlio (il piccolo Gaspar - stesso nome del regista) dalla persona "sbagliata". Electra, invece, sembra essere sterile. Per inciso, il citato scherzo del destino, cioè la rottura del preservativo mentre il protagonista ha un rapporto con la bella vicina, e futura moglie, Omi (Klara Kristin), viene significativamente sottolineato dal notissimo e disturbante tema infantile scritto da Giorgio Gaslini per Profondo Rosso di Dario Argento. Una trovata geniale. 


Fig. 3 - Plongée

Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, nel 2015, Love è un film inevitabilmente irrisolto, considerati i temi affrontati, sia da un punto di vista tecnico sia da un punto di vista estetico. Certamente colto, cinefilo (numerosi i manifesti appesi, non a caso, nella casa di Murphy, tra cui si possono riconoscere: Defiance of the Good, un porno appartenente alla golden age degli anni Settanta; il Salò di Pasolini; M - Il mostro di Düsseldorf; Taxi Driver; Freaks; e persino The Birth of a Nation di Griffith), gridato ed inquietante, anche considerando alcuni spunti d'identificazione autobiografica sparsi qua e là; sottolineato anche da una colonna sonora molto ben scelta (dal J.S. Bach delle Variazioni Goldberg ai Pink Floyd); ma indeciso tra distacco teorico (vedi l'uso frequente della plongée [cfr. la Fig. 3]) e coinvolgimento emotivo (il che spiega l'uso di un 3D iperrealista e niente affatto fuori luogo, anzi). Noé ci si è (volontariamente?) perduto. Il film non delude certamente, ma è sporco, indeciso, frenato, incompleto, e talora presuntuoso. Troppo "maschio", aggiungerei, dal punto di vista dello sguardo, dei modi e dei mondi. Però da vedere (è stato miracolosamente aggiunto da poco nel catalogo di Netflix). Tenersi lontani, in ogni caso, dal doppiaggio in italiano. E fuggano a gambe levate, ovviamente, i perbenisti, qualunque cosa ciò voglia dire. Intrusivo. 3,5/5

Il trailer del film